MUSEO CIVICO INSTEIA POLLA

Le Fogge e gli Elementi Principali

L’abito tradizionale pollese – le fogge e gli elementi principali

L’abito tradizionale pollese – le fogge e gli elementi principali.

Il guardaroba delle donne che vestivano da pacchjana era costituito, soprattutto per il ceto medio, da tre modelli principali: abito di gala, secondo abito, abito quotidiano. A questo si aggiungevano naturalmente l’abito di nozze e la veste da lutto, insieme ad altre declinazioni e combinazioni particolari come l’abito della gestante.
Era pressoché un vestito per tutte le stagioni: le differenze fra l’abito invernale e quello estivo erano soprattutto rappresentate da differenze di peso e tessuto negli accessori come lo scialle e il soprabito.

Prendendo come punto di partenza, l’abito più iconico fra gli abiti femminili, l’abito nuziale, proviamo a delineare quali sono gli elementi ricorrenti che costituiscono il costume tradizionale (riserveremo poi nelle pagine dedicate alla Rassegna adeguata attenzione a tutte le varie fogge).

Si parte prevalentemente dalla configurazione dell’abito di gala ottocentesco, a cui vengono aggiunti alcuni elementi distintivi, come il velo o i ricami personalizzati sulla camicia, ma ci sembra il modo migliore per iniziare.

La veste di nozze, donata per tradizione dalla suocera alla futura sposa, è costituita dai seguenti elementi:

La sposa era velata di rosso.

Di raso o faglia di seta rosso cupo, rettangolare, nelle dimensioni e nella foggia ricorda l’imàtion della sposa greca, oltre a ricondursi direttamente ad altre tradizionali vestiture arbëreshe e dell’area calabrolucana in generale. Era rifinito di leggero gallone, trina o frangia, dorati o argentati. Il colore del capo trova il riferimento più immediato nel flàmmeum della nupta romana, nel sari rosso delle donne indiane, ma rosso è anche il colore dell’abito della sposa bizantina.

Si tratta ovviamente di un elemento che non è comune all’abito di gala né a nessun’altra delle fogge, al suo posto nell’abito antico vi è infatti la spara a cui dedicheremo opportuno spazio nei paragrafi dedicati alla Rassegna.

Candida e dalle ampie maniche rigonfie. Uno degli elementi distintivi, assieme al tuppu della gonna, della vestitura pollese.

Costituita generalmente da due tessuti differenti – mussola di cotone per la parte superiore e per le maniche e grossa canapa naturale per la parte inferiore che dal seno scendeva fino alle ginocchia – presentava una estrema cura e particolarità nella confezione.
A differenza delle camicie attuali, non presentava giromanica, ma come testimoniato dai reperti e dagli antichi cartamodelli, era composta da pezzi dal taglio dritto.
La parte della spalla era collegata al resto del capo da un elemento rettangolare, detto sprone o carré, a cui veniva cucita la manica, costituita pezzo di stoffa largo circa novanta centimetri, per permetterne la ricca arricciatura verticale, e lungo “dalla spalla alla punta delle dita” per consentirne la modellazione a palloncino tramite inamidatura, tanto rigonfia quanto identificativa dell’origine barocca del capo. Un sottomanica quadrato consentiva infine il movimento del braccio.

L’attacco fra la manica e lo sprone era adornato da un ricamo (che fungeva anche da cucitura funzionale per permettere l’arricciatura) estremamente tipico, il ricamo a mmènnula o mmennulécchji , letteralmente a mandorla, un motivo romboidale, che nelle sue più varie configurazioni non solo è presente nella maggior parte delle vestiture calabrolucane, ma anche grazie ai numerosi reperti che abbiamo potuto osservare, permetteva alla giovinette di scatenare la fantasia, personalizzando le geometrie a loro piacimento.

Lo sprone nei capi eleganti era arricchito da sontuosi ricami floreali, spesso a punto erba, punto pieno o intaglio, talvolta anche da motivi di ispirazione sacra come l’ostensorio, u Sagramèndu.

A tale ricchezza decorativa, nel caso della camicia nuziale, venivano spesso aggiunti sull’omero simboli propiziatori, brevi motti amorosi o benaugurali o addirittura la parola Sposa.
Lo scollo arricciato, più evidente nell’abito più antico, meno negli abiti più recenti, era adornato da pizzo o merletto, mentre ai polsi l’ornamento era uno smerlo a ricamo, un pizzo o una trina all’uncinetto.

In tela o mussola bianca o di altro tessuto di cotone dai colori pastello. Chiaramente non visibile in quanto appartenente alla biancheria intima.

Nei toni che dal rosso vanno al violaceo, passando per il paonazzo, di tessuto per lo più in seta, oppure di castoro (un tessuto di lana pregiato e pesante) era corto in vita, quasi a vita alta.

Nei modelli più antichi era costituito da quattro o sei parti, in altri casi era tagliato in un sol pezzo nelle due metà destra e sinistra, unite posteriormente da una cucitura. Era foderato in grossa tela bianca o écru, e portava un’allacciatura centrale sul davanti con legaccio passante solitamente attraverso quattro fori. Sui fianchi erano posti due piccoli cuscinetti imbottiti di lana detti turchjètti. Servivano a sorreggere le vesti e ad alzare il punto di vita poco al di sotto del seno, grazie anche alla stretta cintura della gonna, cosa che conferiva notevole slancio alla figura.

Le maniche staccate dal corsetto sono da ritenere un «ricordo medioevale e cinquecentesco». Del medesimo materiale e colore del corsetto, coprivano solo il gomito, ed erano caratterizzate da un taglio verticale sul lato inferiore rifinito con gallone o passamaneria dorata. Bottoni in filigrana d’argento, detti cambaniéddi, ne completano l’ornamento. Erano infine fermate al busto da nastri o da legature di doppio galloncino dorato.

Costituisce il capo d’abbigliamento essenziale del costume pollese. Sempre in lana fine, solitamente castoro nelle più varie tonalità del rosso, in tutte le fogge corrispondenti alle disparate funzioni. L’ampiezza del «sottano» era posteriormente raccolta in vita da piccole pieghe a soffietto, dette a cannelli, In cinta i cannelli erano fermati, da una spighetta di grosso cotone giallo, u curdónu, ricoperta da nastro di seta colorata, preferibilmente verde smeraldo o da un galloncino dorato. Nella parte inferiore era rifinita in seta o cotone azzurro o verde smeraldo che ne foderava anche l’interno per quasi una decina di centimetri insieme a passamaneria dorata, oppure con ricami in oro in evidenza su una striscia di altro tessuto.

Veniva realizzata in panno casalingo o in castoro turchino. Era costituita da un corto bustino alto in vita, la cindúra, sorretto da bretelle, la cróci, che, divisa sulle spalle, si collegava al davanti grazie a grandi fibbie d’argento dai più svariati motivi ornamentali. Questi elementi si adattavano al corpo con una stringatura posteriore di nastrini o cordoncini dorati. Il corpo era formato solitamente da tre teli di tessuto – l’ampiezza era richiesta soprattutto per ottenere il drappeggio posteriore della gonna rialzata per metà sul davanti.

Le pieghe posteriori, erano baciate e sovrapposte, e costituivano un ringrosso, detto tuppu, risparmiandone poi un lungo lembo, la córa, che s’appoggiava sul lato destro e lasciava in mostra la bordura azzurra. In mezzo, un’altra delle caratteristiche più distintive dell’abito pollese, due profonde e larghe aperture a V, attraverso le quali si distingueva la fitta increspatura rossa della sottogonna. I tagli erano rifiniti di gallone dorato, o di nastrino di seta nei toni del rosso nei capi secondari.

Una fodera di seta o cotone nelle tonalità dell’azzurro, detta sinu, rivestiva il davanti della gonna a mezz’altezza, il resto era bordato da una fascia di sei o sette centimetri del medesimo tessuto.
Due finte tasche, con una patta sagomata e bordata di gallone dorato e consentivano d’introdurre le mani all’interno per utilizzare una tasca volante posta al di sotto.

L’insieme era adorno di galloni dorati, bordura di nastro rosso o violaceo, e motivo ornamentale anteriore in gallone dorato, il cosiddetto nodo d’amore, indicante la condizione di donna sposata.

Contenuto della fisarmonica

Il modello originario del vandisínu da gala, di seta nera per lo più damascata, lungo oltre il ginocchio, portava un cinturino del medesimo tessuto, sagomato a punta rivolta in basso. Vi si raccordava con una fitta pieghettatura ripresa da un elegante nido d’ape, o con una serie

di pieghe o increspature. L’ornamento di passamaneria dorata dei grembiuli di gala prevedeva che in vita essa fosse di tipo differente dai bordi, in quanto doveva essere più ricca.

I legacci erano due nastri di seta o di cotone macramè di diversa lunghezza, che si stringevano in un fiocco sul fianco sinistro, in modo da evitare che altri elementi interrompessero l’elaborata composizione di tagli e panneggi posteriori della gonna.

Negli esemplari più antichi sul cinturino del grembiule era riprodotto anche il fregio distintivo delle donne sposate.

 

Il grembiule assegnato alla veste nuziale era invece costituito da un modello differente, detto musalèdda, che in materiali meno nobili e in configurazioni più semplici era utilizzato anche per l’abito quotidiano.

Lungo sino ai piedi, non aveva cinturino ed era confezionato in faglia di seta cangiante nei toni del lilla e dell’azzurro, finemente pieghettata sui due lati, con bordatura in nastrino o pizzetta di seta rossa o cremisi e gallone o passamaneria sia in oro che in argento.

I lunghi legacci di galloncino dorato, oppure di nastro in seta violacea o d’ altra gradazione di rosso, si annodavano sul davanti, e potevano terminare anche con una coccarda.

Vi è per la musalèdda da sposa un’insolita testimonianza fotografica:

una fotografia del primo Novecento ritrae una donna nubile sul letto funebre, vestita con

un lungo grembiule di seta dai colori tenui, bordato di passamaneria dorata documenta la consuetudine, ancora diffusa in tanti nostri paesi, di vestire da sposa una defunta non maritata.

Introdotto dal Rococò nella moda colta e adottato poi dai ceti popolari in tutta Europa come fichu di tulle, fu ripreso poi nell’Ottocento romantico. Comparì a Polla in questo periodo portando con sé il suo nome francese.

Era uno scialletto di seta con frange, elaborato in paese con sete per lo più provenienti dal catanzarese o a volte acquistato già rifinito.

Ripiegato a triangolo e poggiato sulle spalle, veniva incrociato sul davanti, fermato con una spilla oblunga, talvolta infilando i lembi nella cintura della gonna con le frange in bella mostra.

Quello previsto per l’utilizzo da gala era in tonalità chiare e vivide, solitamente cangianti, a preferenza in giallo oro, avorio, rosa, verde acqua, celeste.

Quello invece adibito all’abito nuziale era per lo più color panna o avorio.

Insolitamente, quasi in ogni corredo sono stati ritrovati degli scialli da sposa. Venivano di fatti poco utilizzati e per il colore delicato, e per omaggio al giorno delle nozze. 

 

Terminiamo infine la rassegna dei componenti principali dell’abito pollese, con un elemento che non fa parte dell’abito nuziale, ma che è caratteristico di tutte le fogge principali.

Capo immancabile in ogni uscita, realizzato sempre in castoro marrone o in cotone per la stagione estiva, con ornamenti differenti secondo le occasioni, aveva un taglio quadrato, probabilmente in origine rettangolare.

Veniva ripiegato più volte sul braccio destro oppure indossato a mo’ di scialle sul capo o sulle spalle, piegato a triangolo sovrapponendo le due metà sfalsate, in modo che fossero visibili le guarnizioni dell’una e dell’altra parte. Le decorazioni, in passamaneria dorata erano per tale motivo cucite rispettivamente sul diritto e sul rovescio della stoffa. Presentava inoltre una rifinitura al bordo con nastrino di seta rossa o paonazza. Si adattava

poi al lutto quello di gala con bordura di nastrino di seta nera e fodera adeguata, lasciandovi la passamaneria dorata. A proteggere il tessuto dal contatto coi capelli, all’interno, sulla diagonale, era cucito un rettangolo di stoffa di cotone in tinta unita o a minuta fantasia su fondo marrone, nero per il lutto.

A tutto ciò vanno aggiunte, le calze di cotone bianco lavorate all’uncinetto, il fazzoletto da naso, le scarpe di vitellino nero con tacco basso quadrato, rivestito in pelle rossa o blu nelle versioni più antiche e fibbia, il ricco corredo di gioielli ed accessori metallici, u cungiértu, tradizionalmente donato dallo sposo alla sposa.